CRONACA DI BADOLATO

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Quinta conferenza del progetto “curtis” a castello Gallelli di Badolato, sull’ imprenditoria di serie “A” e le esportazioni made in Italy
15/06/2024
Giovedì 13.06.2024 alle ore 15.00 presso castello Gallelli di Badolato, il barone Ettore Gallelli di Badolato (Dr. in Sc. Politiche con una tesi sull’imprenditoria femminile in Calabria) ha ospitato la quinta conferenza periodica del progetto culturale denominato “curtis” (dal latino corte). In questa quinta edizione si è tenuta una conferenza sul sull’imprenditoria calabrese di serie “A” (ovvero quell’imprenditoria che genera fatturato attraverso le esportazioni di un prodotto agroalimentare con un brand). Hanno partecipato alla conferenza noti imprenditori, i cui prodotti costituiscono la filiera primaria, ovvero quella del settore agroalimentare. Tra le più storiche e quindi note aziende del settore agroalimentare, vi è proprio l’azienda dei baroni Gallelli di Badolato, la quale si estende nei comuni di Badolato, S. Caterina, Isca, S. Montepaone, e Catanzaro, per un totale oggi di 630 ettari. Azienda i cui terreni sono in parte derivati dal feudo che la famiglia ha posseduto dal 25 novembre 1658 fino all' eversione della feudalità (1806) in parte dovute ad acquisti, e in ultima parte confluite attraverso matrimoni con altre famiglie nobili di egual tradizione terriera, nonchè acquisti da parte dell'attuale barone di Badolato. Come risulta dagli studi delle molte tesi in agraria condotte sull' azienda, i Gallelli di Badolato sono tra quelle poche famiglie che in Italia applicando il magiorascato, posseggono la terra ininterrottamente in linea di primogenitura dalla fine del sedicesimo secolo, da quando cioè la famiglia si trasferì in Calabria da Zara. A tale prova rimangono numerosi documenti notarili, tra i quali i contratti di acquisto di terre e proprietà varie, contratti di fitto dei pascoli ai coloni, oltre alle innumerevoli mappe catastali, le più vecchie risalenti al seicento. Altre terre come detto, sono giunte nel patrimonio famigliare, acquistate da antenati, come don Luca, primo barone Gallelli di Badolato, che nel 1666 come risulta da atto notarile, comperò grandi estensioni di terra nei comuni limitrofi a Badolato, oppure don Giuseppe Gallelli, cav. della corona d' Italia, avv. e sindaco dei nobili di Badolato per diciassette anni consecutivi, che nel 1842 comperò considerevoli estensioni di terra, tra le quali anche la famosa tenuta di Pietra Nera, o ancora don Ettore Gallelli, che nel 1874 acquistò la zona a Montepaone lido, all' epoca fiorente pascolo. Altri territori infine come detto, sono entrati nel patrimonio di famiglia, attraverso matrimoni con altre casate nobili, anche esse di tradizione terriera. Bisogna ricordare a tal proposito i matrimoni con i marchesi Alemanni di Catanzaro, e i nobili de Salazar, che estesero gli interessi del latifondo Gallelli nel Catanzarese, o i nobili Campisi di Caulonia che diedero ai Gallelli proprietà anche nel Reggino. Altri fondi, come detto sono stati infine acquistati di recente dall’attuale barone di Badolato, ingrandendo così ulteriormente il latifondo di famiglia. Come in passato la storica azienda agraria dei baroni Gallelli di Badolato, conta operai fissi, che raddoppiano inevitabilmente in prossimità delle campagne olearie, o all' avvicinarsi dell' estate, essendo necessaria in queste circostanze maggiore mano d'opera. Oggi come allora, la passione per la cura della terra, e i suoi frutti, è rimasta immutata da generazione in generazione, oggi come una volta il lavoro è scandito dai ritmi della natura, e dal passaggio delle stagioni. Alta qualità, sicurezza alimentare, gusto unico, un’offerta di prodotti ampia e diversificata, in grado di esaltare le peculiarità di ciascuna regione: sono alcuni degli ingredienti che spiegano l’intramontabile successo del Made in Italy nel mondo. I numeri sull’agroalimentare, d’altronde, parlano chiaro: nel 2023 l’export ha raggiunto il valore record di 64,4 mld di euro, facendo segnare un +6% rispetto al 2022. Un dato che rappresenta più del 10% delle esportazioni italiane. “L’agroalimentare sta vivendo un ottimo momento: fra il 2019 e il 2023 le esportazioni sono cresciute dell’8,9%, un dato molto significativo. Una dinamica di crescita accelerata, confermata dal fatto che l’agroalimentare è stato uno dei pochi settori a crescere anche nel 2020, l’anno della pandemia. Anche il 2024 è iniziato positivamente: il mese di gennaio ha fatto registrare un incremento delle esportazioni del 12,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente”, spiega Francesca Corti, economista dell’Ufficio Studi di Sace che in occasione di Cibus, il Salone internazionale dell’alimentazione ospitato a Parma dal 7 al 10 maggio, ha diffuso “Sace a Cibus per accompagnare le imprese dell’agroalimentare”, un focus che analizza le performance del settore agroalimentare italiano. Alta qualità, sicurezza alimentare, gusto unico, un’offerta di prodotti ampia e diversificata, in grado di esaltare le peculiarità di ciascuna regione: sono alcuni degli ingredienti che spiegano l’intramontabile successo del Made in Italy nel mondo. I numeri sull’agroalimentare, d’altronde, parlano chiaro: nel 2023 l’export ha raggiunto il valore record di 64,4 mld di euro, facendo segnare un +6% rispetto al 2022. Un dato che rappresenta più del 10% delle esportazioni italiane. “L’agroalimentare sta vivendo un ottimo momento: fra il 2019 e il 2023 le esportazioni sono cresciute dell’8,9%, un dato molto significativo. Una dinamica di crescita accelerata, confermata dal fatto che l’agroalimentare è stato uno dei pochi settori a crescere anche nel 2020, l’anno della pandemia. Anche il 2024 è iniziato positivamente: il mese di gennaio ha fatto registrare un incremento delle esportazioni del 12,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente”, spiega Francesca Corti, economista dell’Ufficio Studi di Sace che in occasione di Cibus, il Salone internazionale dell’alimentazione ospitato a Parma dal 7 al 10 maggio, ha diffuso “Sace a Cibus per accompagnare le imprese dell’agroalimentare”, un focus che analizza le performance del settore agroalimentare italiano. Sono le bevande – su tutte il vino – a rappresentare il principale comparto di export, con una quota pari al 19%. Ma a guidare la buona performance del settore sono stati anche pasta e prodotti da forno (+8,6% rispetto all’anno precedente), latte e formaggi (+10,3%), preparazioni di ortaggi e frutta (+12,5%) e altre preparazioni alimentari, fra cui salse e conserve (+13%). La Germania si conferma ancora una volta la prima destinazione per il settore: nel 2023 ha accolto oltre 10 mld di prodotti agroalimentari italiani, pari al 16% del totale. I tedeschi sono grandi consumatori di bevande, pasta e prodotti da forno, frutta e ortaggi. Segue la Francia con un peso dell’11% sul totale. Al mercato francese, in particolare, è destinato quasi un quinto dei prodotti lattiero-caseari. Con 6,7 mld di prodotti importati, gli Stati Uniti rappresentano la terza geografia di sbocco per il settore. A questi mercati consolidati, se ne aggiungono altri che, benché ancora poco presidiati dall’export italiano, hanno mostrato negli ultimi anni grande dinamicità: Vietnam, India e Corea del Sud in Asia, ma anche Polonia in Europa e Messico in America Latina. L’Emilia-Romagna è ancora una volta la maggiore esportatrice, con un peso del 18,2% sul totale delle vendite oltre confine. Seguono Lombardia (16,2%), Veneto (14,9%) e Piemonte (13,8%). In Puglia, Liguria e Sicilia inoltre, la vendita dei prodotti agricoli assume una particolare rilevanza, arrivando a incidere fino al 40% sul totale delle esportazioni. “Il valore aggiunto del nostro comparto sono le family company, aziende di famiglia medie e piccole con profonde radici sui territori”, spiega a Fortune Italia Riccardo Caravita, brand manager di Cibus. “Il Made in Italy di cui oggi tanto si parla è garanzia di qualità e tracciabilità dei prodotti, di controllo e sicurezza alimentare. I produttori italiani sono molto attenti ai temi legati alla sostenibilità e al benessere animale, fattori che all’estero godono di grande considerazione”, aggiunge Caravita. Ma è anche nella sapiente contaminazione fra antico e moderno, tradizione e innovazione che vanno ricercate le ragioni del successo italiano. “Sappiamo intercettare la domanda crescente di prodotti salutari, riuscendo, senza mai rinunciare al gusto e alla tradizione, a contaminare e reinterpretare molti sapori. E poi ci sono la ricchezza e la biodiversità del territorio, che consentono una varietà unica nella produzione agroalimentare. “Non è un caso – conclude Caravita – che l’Italia sia il Paese col maggior numero di certificazioni Dop e Igp. Il nostro è uno dei pochi Paesi al mondo che riesce a essere autosufficiente per quali tutte le principali filiere alimentari, dai formaggi alle carni, dai cereali ai semilavorati. E dove non disponiamo della materia prima, siamo comunque fra i più bravi a trasformarla”. Fonte: www.agrariagallelli.it https://www.fortuneita.com/2024/05/06/made-in-italy-lagroalimentare-vale-il-10-dellexport-italiano/

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